Qualche tempo fa in questo articolo vi ho parlato degli effetti negativi dell’alcol sulla salute. Infatti, oltre ai ben noti danni a livello epatico, pancreatico e neurologico, molti studi in letteratura scientifica hanno dimostrato il suo ruolo nell’aumentare il rischio oncologico, particolarmente per quanto riguarda il carcinoma della mammella e il carcinoma del colon-retto.
E’ però vero che uno studio molto importante pubblicato sulla rivista Gastroenterology da un gruppo coordinato dal Dr. Le Roy ha rilevato che il consumo di vino rosso (ma non di vino bianco, birra o altri alcolici) è in grado di aumentare la diversità microbica del cosiddetto “microbiota intestinale”.
Dal momento che sempre più spesso si sente parlare di microbiota, penso che possa essere utile fare chiarezza.
Microbiota e microbioma
Tutti gli esseri umani hanno all’interno del tratto digerente una enorme quantità di batteri, virus e funghi che vivono in simbiosi con l’organismo che li ospita. Si parla nel complesso di circa 100 trilioni di microbi, pari a circa 1.5/2 Kg di peso totale. L’insieme di questi microrganismi è il microbiota.
L’insieme del loro materiale genetico, che è in grado di essere codificato al fine di produrre degli aminoacidi e quindi delle proteine, è invece il cosiddetto “microbioma“.
Le numerosissime specie diverse dei microrganismi che compongono il microbiota devono costantemente trovare un equilibrio tra loro e allo stesso tempo con il sistema immunitario dell’ospite. E’ quindi praticamente impossibile che una persona abbia un microbiota identico ad un’altra, perché la concentrazione dei microrganismi viene determinata dall’interazione con il sistema immunitario dell’ospite e allo stesso tempo dall’interazione con ciò che “entra” nell’intestino con l’alimentazione nel corso della vita. Quando non è presente questo tipo di equilibrio, si parla di “disbiosi intestinale“.
L'azione del vino sul microbiota
Tornando allo studio pubblicato da Le Roy e colleghi, l’aumento della diversità microbica indotta dal consumo di vino rosso dovrebbe essere in grado di migliorare la salute dell’ospite da vari punti di vista, dal momento che più il microbiota è diversificato meno è probabile che una o più specie prendano il sopravvento sulle altre.
Un microbiota più diversificato è in grado di resistere meglio alla variazione dell’ambiente esterno, come ad esempio carenze o eccessi alimentari, ma anche a stimoli stressanti che possono avere una azione sul sistema immunitario. Di conseguenza, è meno probabile che una persona con molti batteri diversi possa sviluppare la sindrome dell’intestino irritabile. Se invece ne fosse già affetto, aumentando la diversità del suo microbiota renderebbe meno probabile l’insorgenza dei sintomi.
Un altro aspetto, anche più importante, è che l’aumento della diversità microbica è associato ad un miglior controllo metabolico, che ha contribuito a permettere ai pazienti che bevevano vino rosso di avere una riduzione del BMI in confronto a quelli che consumavano gli altri alcolici. Oltre a questo, la maggiore diversità batterica riduce direttamente il rischio di sviluppo delle malattie cardiovascolari, come evidenziato da uno studio pubblicato sulla rivista dell’American Society of Microbiology che ha suggerito come il resveratrolo contenuto nel vino impedisca ai batteri del microbiota intestinale di produrre trimetilammina, che favorisce lo sviluppo di aterosclerosi.
Quando il microbiota produce alcol
Come detto precedentemente, all’interno del microbiota intestinale avvengono pressoché costantemente numerosissime reazioni chimiche con la produzione di una enorme quantità di composti che possono poi avere degli effetti diretti o indiretti sulla salute umana. In questo senso, il microbiota intestinale va inteso come un vero e proprio organo.
Uno studio recente pubblicato su Nature Medicine ha mostrato che alcuni batteri del microbiota intestinale possono essere in grado di produrre direttamente l’etanolo, che altro non è che l’alcol etilico che normalmente si trova nelle bevande alcoliche.
In questo caso, sono stati confrontati i valori di etanolo nel sangue della vena porta (che raccoglie tutto ciò che viene assorbito dalle cellule dell’intestino trasportandolo al fegato, dove avverrà il metabolismo) e nel circolo periferico di soggetti affetti da epatopatia steatosica non dovuta ad assunzione di alcol (NAFLD) con quelli di soggetti sovrappeso ma senza NAFLD. Ovviamente i pazienti di entrambi i gruppi non dovevano aver bevuto alcol e le analisi sono state fatte dopo un pasto standard per entrambi i gruppi. I pazienti del secondo gruppo, che non presentavano la malattia di fegato e presentavano un microbiota maggiormente ricco in Lactobacilli, avevano livelli di etanolo significativamente più alti rispetto ai pazienti con malattia di fegato.
Dal momento che il danno da alcol nel fegato è legato principalmente al metabolismo dell’etanolo che arriva dalla vena porta (sia esso assunto per via orale o prodotto dai batteri intestinali), alla luce di questo sorprendente dato, si potrebbe pensare che parte del danno che si osserva nella steatosi epatica può essere dato dalla concomitante produzione di alcol da parte dei batteri del microbiota intestinale, pur non avendolo assunto per os.
Ovviamente, questi studi non devono suggerire di bere alcolici con l’unico scopo di indurre una maggiore diversità microbica o allo stesso tempo con l’idea di “lavarsi la coscienza” perché tanto il fegato forse subisce comunque un danno indotto dall’etanolo prodotto dai batteri del microbiota intestinale… L’alcol è comunque una sostanza dannosa per la salute e deve essere consumato consapevolmente.