E’ ormai più di un mese che abbiamo modificato nettamente le nostre abitudini di vita a causa dell’epidemia da Coronavirus. Al di là delle notevoli problematiche economiche che hanno toccato a vario titolo gran parte della popolazione italiana, una percentuale ancora maggiore delle persone sta iniziando a manifestare una certa insofferenza a questa reclusione forzata.
Gli aspetti biologici dello stress, del nervosismo e dei disturbi dell’umore sono stati largamente studiati, e in un periodo di quarantena come questo è indubbiamente più probabile che si inneschino questi meccanismi psico-biologici. A questo proposito, ho invitato la dr.ssa Francesca Mastorci, psicobiologa del CNR di Pisa, a condividere con noi le sue riflessioni sul periodo che stiamo vivendo, affrontandolo da un punto di vista scientifico. Affronteremo tra qualche giorno anche l’impatto che la sfera emotiva, sollecitata notevolmente in questo periodo, può avere sui sintomi gastrointestinali.
L'opinione dell'esperta
Una delle frasi più conosciute del filosofo francese Jean-Paul Sartre recitava “L’Inferno sono gli Altri”. Probabilmente non direbbe lo stesso vivendo questo lungo periodo di quarantena, dove è vero piuttosto il contrario, ovvero che l’”Inferno” è proprio quando gli Altri non ci sono, quando non possiamo abbracciarli, guardarli negli occhi, condividere la nostra vita.
Fondamentalmente, i rischi legati all’isolamento e al confinamento spaziale o “distanziamento sociale” come viene chiamato, riguardano la sfera psicologica e sono essenzialmente legati alla cronicizzazione dello stress, che diventa angoscia quando la situazione non si esaurisce in tempi brevi, ma si protrae molto nel tempo.
Una simile sollecitazione emotiva innesca tutta una serie di effetti tipicamente legati all’esposizione cronica di stress, quindi modificazioni dei livelli ormonali (cortisolo e catecolamine, nelle donne anche gli estrogeni), e alterazioni del sonno. Queste modifiche nel lungo termine possono indurre variazioni del sistema cardiovascolare associate ad un maggior rischio di sviluppare ipertensione, tachicardia e talvolta infarto del miocardio, ma anche malattie dell’apparato digerente come la sindrome dell’intestino irritabile o la gastrite.
Cosa dicono gli studi
In uno studio del 2015, è emerso che un isolamento sociale cronico, sovrapponibile a quello che stiamo vivendo, potrebbe aumentare il rischio di mortalità del 29 per cento. Tutto questo crea quindi una via preferenziale per l’insorgenza di patologie come la Depressione, il Disturbo d’Ansia Generalizzato, il Disturbo Post Traumatico da Stress. Quando si parla di stress, va inoltre, sempre tenuta in considerazione l’endofenotipia, ovvero la vulnerabilità genetica multifattoriale verso lo sviluppo di quella o quell’altra condizione patologica franca. In altre parole, ognuno di noi ha una propria predisposizione per sviluppare una patologia piuttosto che un’altra.
Da non trascurare sono poi gli effetti biologici evidenziati una volta tornati alla normalità o pseudo-tale. Studi infatti condotti nel periodo post-SARS, MERS, ed Ebola hanno evidenziato che la popolazione tende a mantenere per lungo tempo dei comportamenti riconducibili al periodo dell’emergenza: ad esempio un’attenzione eccessiva al lavaggio delle mani, la tendenza a evitare i posti chiusi e affollati, e a mantenere quel distanziamento sociale, considerato ad oggi a sua volta uno dei fattori stressanti più importanti, come suggerito da questo recentissimo articolo di Brooks pubblicato sull’importante rivista Lancet.