La malattia di Crohn è una patologia infiammatoria cronica che può coinvolgere ogni tratto del tubo digerente, dalla bocca all’ano. La sede che più frequentemente è coinvolta è l’ultimo tratto dell’intestino tenue, cioè l’ileo terminale.
La malattia di Crohn è una malattia autoimmune, e cioè è dovuta ad una iperattivazione del sistema immunitario all’interno dell’intestino che causa una infiammazione così importante da danneggiare l’organismo stesso. Nel corso del tempo si formano erosioni della mucosa fino a franche ulcerazioni, e il processo di cicatrizzazione può anche dare stenosi del lume intestinale.
La causa dell’attivazione del sistema immunitario non è nota, ma sembra che siano implicati i microrganismi che si trovano normalmente all’interno dell’intestino, cioè il cosiddetto microbiota intestinale. In individui geneticamente predisposti, una modifica di questi microrganismi (batteri, virus o funghi) indotta da fattori ambientali, prima tra tutti l’alimentazione, può fare da innesco al processo infiammatorio, che poi si perpetua nel tempo.
Che i fattori ambientali abbiano un ruolo centrale è evidente dal fatto che negli ultimi anni stiamo assistendo ad una crescita costante dell’incidenza di questa malattia nei Paesi del mondo occidentale, similmente a ciò che avviene per tutte le altre malattie autoimmuni (ad esempio la colite ulcerosa, l’artrite reumatoide, la psoriasi…).
I sintomi
I sintomi della malattia di Crohn dipendono essenzialmente dalla sede di malattia. Se è coinvolto il retto o comunque la parte più distale del colon il paziente presenterà tenesmo, dolore anale o soprattutto sangue rosso vivo nelle feci. Viceversa, il paziente con un coinvolgimento gastrico presenterà dolore epigastrico e difficoltà digestive. Nel caso più frequente, cioè quando è coinvolto l’intestino tenue, solitamente il sintomo cardine è il dolore addominale, che può essere tensivo, trafittivo o anche crampiforme, e pertanto spesso è scambiato per quello tipico dell’intestino irritabile. Non è raro che si osservi anemia o anche perdita di peso legata ad un malassorbimento degli alimenti ingeriti, dal momento che il danno intestinale impedisce l’assimilazione dei micronutrienti della dieta.
Dal momento che i sintomi della malattia di Crohn sono spesso sfumati e di difficile interpretazione, è fondamentale una valutazione da parte di un gastroenterologo esperto del trattamento di questo tipo di patologie.
La terapia
La terapia della malattia di Crohn è essenzialmente anti-infiammatoria, dal momento che la causa scatenante non è stata ancora individuata. Nei casi più lievi è sufficiente una terapia orale con mesalazina (soprattutto se è coinvolto il colon), ma purtroppo non è raro che si debba ricorrere all’utilizzo di farmaci immunomodulatori. Nei casi più gravi, è necessario un trattamento con farmaci biologici, che sono anticorpi monoclonali diretti contro alcune molecole implicate nello sviluppo dell’infiammazione.
I farmaci biologici sono farmaci generalmente efficaci, ma sono associati a vari effetti collaterali legati alla loro importante attività anti-infiammatoria, primi tra tutti lo sviluppo di infezioni. Hanno inoltre un elevatissimo costo per il sistema sanitario nazionale. Per questi motivi, l’attività di ricerca negli ultimi anni si sta indirizzando verso l’individuazione di biomarcatori predittivi di risposta prima dell’inizio del trattamento. Recentemente c’è stato molto interesse verso questo studio da me coordinato, che ha evidenziato come la concentrazione di oncostatina M nel siero possa predire in modo estremamente efficace la risposta alla terapia con infliximab. Se i dati saranno confermati da ricerche con un maggior numero di pazienti, il dosaggio di questa proteina potrebbe entrare nella pratica clinica, permettendo di trattare con infliximab solo i pazienti con malattia di Crohn che hanno una buona probabilità di risposta. In questo modo si ottimizzerebbe il rapporto rischio-beneficio, evitando i rischi degli effetti collaterali ai pazienti che hanno una bassa probabilità di risposta alla terapia.