Generalmente i medici decidono che tipo di medicine consigliare ai pazienti sulla base dell’idea che si fanno dal quadro clinico e dagli esami strumentali. A seconda dei dati che si ottengono si cerca, per quanto possibile, una certa personalizzazione della terapia, evitando di dare a tutti i pazienti lo stesso farmaco indiscriminatamente.
Da pochi giorni si può trovare online a questo link un mio articolo, pubblicato sulla rivista Alimentary Pharmacology & Therapeutics (una delle più importanti del settore della gastroenterologia) in collaborazione con i colleghi della farmacologia dell’Università di Pisa.
L’oggetto della nostra ricerca è stata la ricerca di un biomarcatore di risposta terapeutica alla terapia biologica con infliximab nei pazienti affetti da malattia di Crohn. Il problema è di primaria importanza, dal momento che molti pazienti perdono la risposta clinica alla terapia nel corso del tempo. Inoltre, soltanto una percentuale inferiore al 50% dei pazienti trattati con questo farmaco presenta una completa guarigione endoscopica, e la terapia non è scevra da rischi. Capire in anticipo chi ha maggiori probabilità di risposta permette di affrontare il rischio con maggiore serenità e di personalizzare la scelta della terapia. Infine, è bene anche ricordare che la terapia con farmaci biologici è una delle principali fonti di spesa per il Sistema Sanitario Nazionale, per cui l’ottimizzazione delle scelte terapeutiche ha anche un importante risvolto economico.
Lo studio
Abbiamo selezionato 45 pazienti trattati con infliximab che avevano presentato una iniziale risposta al farmaco e li abbiamo seguiti per un anno, quando tutti i pazienti hanno effettuato (come da normale pratica clinica) una colonscopia per valutare la guarigione del danno endoscopico che era presente all’inizio del trattamento. Tutti i pazienti prima di iniziare la terapia avevano dato il loro consenso per lasciare a disposizione una piccola quantità di sangue (9 ml), da cui sono state ricavate delle piccole aliquote di siero su cui siamo andati a valutare il livello di una proteina chiamata Oncostatina M. Questa piccola proteina è appartenente al gruppo delle citochine, ed ha come principale funzionalità l’attivazione delle cellule del sistema immunitario durante i processi infiammatori. Nella malattia di Crohn questi processi sono particolarmente accentuati, e si sviluppa una importante infiammazione che esita nel danno della mucosa intestinale, con successivamente l’insorgenza dei tipici sintomi della malattia (diarrea, dolore addominale, stanchezza…).
I risultati
Abbiamo quindi verificato se i livelli di Oncostatina M potessero essere correlati con la risposta alla terapia in termini di guarigione endoscopica e di remissione clinica. Il risultato è stato ampiamente sopra le aspettative, dal momento che abbiamo dimostrato che i pazienti con livelli più bassi di Oncostatina M più facilmente raggiungevano la remissione clinica e la guarigione endoscopica; viceversa, i pazienti con maggiori concentrazioni sieriche di Oncostatina M erano più soggetti a non rispondere alla terapia. La correlazione statistica è risultata notevole, ed i risultati di questo studio aprono la strada per valutare l’efficacia di questo biomarcatore anche in altre condizioni, come ad esempio i pazienti con malattia di Crohn in terapia con altri farmaci, oppure i pazienti con colite ulcerosa in terapia con infliximab o con altri farmaci. Potremmo quindi capire se l’Oncostatina M ha lo stesso comportamento per tutti i pazienti trattati con tutte le terapie biologiche, oppure se invece è un biomarcatore specifico per i pazienti con malattia di Crohn in terapia con infliximab.
Se i risultati venissero confermati anche in altri studi, si potrebbe pensare di dosare l’Oncostatina M prima di iniziare una terapia con infliximab, e decidere se iniziare o meno il trattamento sulla base dei valori riscontrati, raggiungendo l’obiettivo della personalizzazione delle scelte terapeutiche.